mercoledì 30 ottobre 2013

BERE DA RICCHI


Sono seduta a un tavolo con alcuni colleghi della buona ristorazione fiorentina. L’occasione è una             degustazione di vini organizzata da uno dei nostri fornitori. Il contesto è molto informale ma i vini che si stappano son tanta roba. Nei bicchieri il Piemonte rules, con un Barolo Le Vigne 1999 di Sandrone in grande spolvero. Conclude la sessione Gaja con un Barbaresco del 2001.
Ma non finisce qui: l’agente, sveglio e gaudente, che del resto ci vuol vendere almeno un vagone di vino cadacranio prima che le degustazione sia finita, sa bene che ci deve stupire e gioca la carta nascosta; arriva in tavola ancora Gaja: stavolta è un Sorì San Lorenzo ancora in fasce che viene sacrificato per il piacere degli ospiti.


Questi son quei momenti in cui mi dico che io faccio il lavoro più bello del mondo.
Sennò col cavolo che mi potevo permettere di stappare bottiglie così, una dietro l’altra, senza polverizzare larga parte della paghetta mensile. Le alternative potrebbero essere due: o mi trovo un fidanzato facoltoso, ma onestamente mi pare improbabile: non c’ho le misure adatte, o ripiego sull’ignoranza. Se ignorassi l’esistenza di barolo centravanti di sfondamento, forse non mi verrebbero tutte queste voglie e potrei vivere felice e ignara..e magari pure astemia. (e che ho fatto di male per vivere così?)
Vicino a me siede un collega, caro amico e affezionato cliente, nonché gestore di uno dei caffè più cool della città. Arguto selezionatore di etichette, ne sa una più del diavolo in fatto di vini. Lo provoco:
-Senti Sandro ma quale ti è piaciuto di più?
Lui mi guarda con l’aria di chi ha capito, non dico tutto, ma parecchie cose più di me sicuramente, e afferma: “ma il Sorì naturalmente!”
-ma questo Barbaresco al momento gli sta facendo le scarpe al Sorì infante!- ribatto io ingenuamente.
Lui mi mette la mano sulla spalla: - cosa vuoi che ti dica cara, a me piace bere da ricchi- E mi sfodera un sorriso furbo e soddisfatto.
-Dunque non è più il vino in se, è il prezzo a scatenare il godimento! La potenza del bere plutocratico, senza tirare fuori un centesimo. Sandro sei troppo avanti!- Sorrido anche io e gli strizzo l’occhio: collega illuminato..


lunedì 21 ottobre 2013

ENJOY THE SILENCE MA NON A TAVOLA


“Amare al buio, dormire al sole e mangiare in silenzio: tre sciocchezze”. Così scriveva Ugo Ojetti.
In effetti quando ho letto la notizia di EAT, il ristorante di Brooklyn in cui si mangia solo stando zitti, l’ho pensato anche io: “Vai eccone un’altra!”
Alla mia tavola se regna il silenzio è perché o sono da sola (e mangiare da soli è una delle cose che mi mettono più tristezza), oppure c’è maretta tra i commensali, gli sguardi son bassi e il boccone fatica a scendere.. Ho anche il ricordo di mio padre che batteva la mano sul tavolo “silenzio a tavola!” quando io o mio fratello s’era combinato qualche guaio.

Poi mi immagino di essere in un locale pubblico in cui tutti tacciono: forse sono talmente abituata al rumore che il silenzio “condiviso” con estranei mi mette a disagio.. e proseguendo a ragionare con fare leggero mi vien da pensare: e se mi scappa uno starnuto? Un colpo di tosse? Là dove regna il silenzio questi rumori di vita potrebbero sfociare in inquinamento acustico acuto.

Ma cerchiamo di vederla dall’altro lato: lo spirito che ha motivato l’originale ristoratore newyorkese ha più a che fare con lo zen. Secondo Nick Nauman, il gestore del locale, non parlare a tavola “è un modo di concentrarsi sull’esperienza del mangiare, una delle attività umane più profonde”.
Leggo sullo yoga journal, che consulto per l’occasione, che esiste una Meditazione Culinaria all’interno della quale “ Mangiare in silenzio può aiutare a mantenere un atteggiamento espansivo e a concentrarsi per assorbire il nutrimento nel proprio essere. Anche in città, nel quotidiano, si possono fare scelte in linea con questi principi: magari scegliendo un’assolata panchina in un bel parco ed evitando i bar angusti e affollati”. E se questo è un principio zen, allora è pure il mio, io che di regola ho un pensiero solo zenzero e zero zen.

In qualità di cuoca/ristoratrice io sono la prima a urlare a bassa voce: “Fate silenzio, non sentiamo i sapori!”, ma allo stesso tempo vi prego di non invitarmi a cena chiedendomi di stare zitta. Mi vien l’ansia al solo pensiero.

venerdì 18 ottobre 2013

IL PRANZO DELLE STELLE

L’anno scorso ne parlai qui, definendolo il giorno perfetto. Vi può essere un secondo perfect day nella vita? Parrebbe di si..
Rieccomi alle prese coi fornelli della cucina della Nara a terminare il mio cinghiale in dolceforte per il pranzo delle stelle. A breve nel salotto di casa apparecchiato a festa si siederanno più stelle che in un firmamento. Dal nord al sud della penisola una ventina di astri, in orbita sui cieli fiorentini in occasione della presentazione della guida ristoranti d'Italia dell’Espresso, arresteranno per qualche ora la loro traiettoria celestiale proprio qui, in questa casa della nonna dagli arredi anni sessanta.
Come l’anno scorso io son su di giri a mille, anzi di più perché i commensali sono aumentati. Pare che il pranzo dell’anno passato sia loro piaciuto parecchio, per cui son tornati tutti e se ne sono aggiunti altri. Mi pare un sogno, vederli entrare e salutarmi con parole come: ciao Sabrina che bello rivedersi!.
Caspita mi hanno riconosciuto!? Segue: Moio o non moio?
Godere della loro compagnia in una situazione familiare, osservarli nelle vesti di persone normali, anziché angelicate, che si affaccendano a sparecchiare, servire i colleghi, c’è un due stelle che ramazza il pavimento.. tutto questo è per pochi e io ci sono. Credo di essere fortunata, anzi oggi me ne sono convinta.
Il three starred chef dall’accento tedesco mi sfila i piatti di mano: “lascia faRRe ci penZo io, siedi con noi”.
Oppongo resistenza, ma non troppa, visto che in tavola stanno sfilando di bicchiere in bicchiere, nell’ordine Egly Ouriet, Ulysse Collin, Salon (e ripeto Salon) e una magnum di Baron de L del 2002 (ripeto anche questo scandendo ogni sillaba). Credo sia opportuno che mi sieda e alla svelta.

Se potessi scegliere mi siederei al fianco del viareggino più grande, quell’uomo non più giovanissimo, dall’aspetto dolce e pacato, colui che qualche anno fa mi introdusse al piacere del pesce crudo più buono della mia vita. Così, teneramente gli cingerei il braccio e chinerei la testa sulla sua spalla sussurrando “perché il mio cuocobabbo non ti assomiglia neanche un po'?”

martedì 15 ottobre 2013

VADEMECUM PER IL RISTORATORE SERENO E SENZA ULCERA


  1. Tutti i gusti son gusti, anche quelli discutibili. In fondo è un pubblico pagante. Senza questa sorta di credo ristoratore munisciti di maalox  in dosi massicce. Non tutti i gusti sono però son gusti tollerabili. Rifiuta quindi di praticare azioni culinarie scorrette
  2. Non fare previsioni, la logica e l’analogia non funzionano dentro le mura di una trattoria. Se proprio non puoi rinunciare ai pronostici, falli calcistici, le possibilità di azzeccarci triplicheranno all’istante.
  3. scegli oculatamente il giorno di chiusura settimanale. Tieni a mente che il lunedì e il martedì non c’è una mazza da fare in giro, gli amici reduci dal week end son barricati in casa e molti ristoranti son chiusi. Non potresti far scelta peggiore.. Si ricorda che il turno di riposo di due giorni is megl che one
  4. sii felice di essere a lavorare la domenica e tutte le feste comandate. Altrimenti ti toccherebbe il pranzo dalla suocera che si ostina a cucinare con la margarina perché è leggera e fa bene alla salute, e prima di salutarti ti regala una preziosa bottiglia della collezione Giordano Vini
  5. non dare le ricette sbagliate ritenendole tue. Pensi che in sei miliardi di persone sulla terra nessuno abbia avuto la tua idea di abbinare le fragole alla panna?
  6. dai pure ricette sballate, tanto il 90 per cento di coloro che te le chiedono non le faranno mai
  7. non ti stupire se ti chiedono il tartufo marzolo a novembre
  8. stupisciti pure se cercano un chianti con poco sangiovese
  9. varia spesso le proposte in carta per accontentare i clienti desiderosi di cose nuove
  10. non variare le pietanze in carta: “ma come ero venuto per le tagliatelle ai porcini e non ci sono!” Sono desolato, le tagliatelle ne ho quante ne vuole, i porcini son finiti qualche mese fa..
  11. le persone non ascoltano, abituatici. “perdonatemi, oggi non è disponibile l’insalata di trippa, tutto il resto è indicato in carta”. – bene allora ci porti un raviolo, delle verdure grigliate e un’insalata di trippa-. Appunto.
  12. non rinunciare alle ferie (sei un grande, ma non sei un eroe), anche se per la stagionalità del tuo lavoro ti tocca la settimana a novembre quando piove o a febbraio quando c’è la neve. Qualunque giorno tu decida di chiudere per vacanza ci sarà sempre quel cliente che ti infama perché chiudi proprio la settimana in cui casca il suo anniversario più importante.
  13. rinuncia alle ferie se non vuoi trovarti almeno un paio di frigo che non ripartono al momento della riapertura. Succede sempre, anche se hai chiuso solo per un paio di giorni.
  14. impara a convivere col cook lag, ovvero quella nausea che ti prende alla 14esima ora di lavoro e smetti perciò di chiederti come fai ad avere gli urti di vomito senza aver mangiato niente. La sensazione è molto simile al jet lag che ti avverte che stai fuori fuso, mentre il cook lag ti avverte che sei fuso e basta  

venerdì 4 ottobre 2013

PET THERAPY o anche PET RESCUE SAGA

Rocky, alias il vicino di casa della Marta, quello del pianerottolo di sotto insomma, esce tutte le mattine, felpa e cappuccio, a fare la corsetta col cane.
Il mio vicino di casa invece si chiama Torello, età imprecisata; a vederlo è arzillo e in forma, ma si vocifera in paese che sia del Venti o giù di lì. Un vero Rocky, una roccia che ancora ogni mattina va all’orto e con cui intrattengo conversazioni quotidiane del tipo: Ciao Torello, come si va oggi? -bongiorno mimma, piove governo ladro! Oppure -bongiorno mimma, gliè cardo maremma campanile!
Rocky l’altro invece ha un beagle con tanto di campanellino, che tutte le volte che vede la Marta per le scale gli pianta una canizza da paura. Di conseguenza lei vorrebbe solo fargli conoscere la durezza del suo sandalino col tacco di legno. Fortuna, dico io, che il suo padrone è niente male, cosa che trattiene la Marta dalle sue ire funeste nei confronti della povera bestiola, che invece quando vede me scodinzola e si butta a terra pancia all’aria per farsi fare i grattini. Il padrone non mi degna d’uno sguardo, ovviamente. Il fatto è, che il fiuto del cane avverte tutti i profumini allettanti della cucina del ristorante che mi porto a spasso ovunque, mentre per il padrone più semplicemente puzzo di soffritto e di composti al benzopirene della bistecca grigliata.
Son punti di vista.
-Quello del piano di sotto non si sgancia mai da quel suo cane inviperito-
-Marta, il cane è il miglior amico dell’uomo
-Il problema sabri è che tu ami i cani..in genere.
-Porca miseria colpisci sempre dritta tu eh? mica è colpa mia se li becco tutti io, alla fine mi son presa  un cane vero e ho scoperto l’amore incondizionato. E poi, se il cane è il miglior amico dell’uomo, perché non può esserlo anche per la donna?
-Perché il miglior amico di una donna di solito non abbaia ma vibra- dichiara in tono solenne
(..)
Silenzio.
Scoppio di risa fragorose fino a lacrimare.
Dalle scale arriva un suono di campanellino; stridere di sedia sul pavimento e una ragazza (senza marito siam sempre ragazze anche in prossimità dei quaranta!) bionda si precipita di corsa verso la porta
-rapporti di buon vicinatooo!!! mi urla
-potrebbero migliorare di molto comprando una confezione di crocchette o qualche biscotto per il pet del vicino. E poi vatti a controllare le cinquanta sfumature della parola pet
(continua..)

Non ho mai giocato alla Pet Rescue Saga, lo giuro.