Da quando il Maccherone ha chiuso i battenti, questo diario di ristoratrice soffre.
A volte temo persino che potrei chiuderla la mia eccekitchen in rosa, i cui ignari protagonisti sono da sempre stati i clienti della trattoria sull'ebbro colle. Solo che adesso non lo sono più e già mi mancano.
Per fortuna ho ancora una serie di perle che costoro mi han lasciato negli ultimi giorni di lavoro, così densi, così belli, vissuti senza dormire e alla fine senza fiato.
E' la settimana che precede il Natale, ci sono talmente tante richieste di prenotazione che decidiamo di aprire anche a pranzo nel tentativo di accontentare tutti.
I signori hanno prenotato un tavolo per 8, hanno talmente insistito per trovare un posto che hanno rinunciato a venire a cena, ripiegando sul pranzo infrasettimanale, perché naturalmente il fine settimana era già completo da mo'.
Mi avvicino al tavolo per lasciare il menu e chiedere se vogliono dell'acqua, ma tutto tace. Decido di non insistere e aspettare qualche minuto, e mi metto a osservarli dall'angolo della sala per capire il momento in cui presentarmi di nuovo al tavolo.
Nessuno di loro parla, come se tutti fossero affetti da mutismo. Hanno volti seri che non lasciano trapelare alcun sorriso. Non so, magari hanno dei problemi o forse sono in lutto, per carità, però la prima impressione che ho è del tipo: sai che palle andare al ristorante con l'aria da funerale, soprattutto quando hai insistito oltremodo per trovare un tavolo disponibile. Ma che ci vai a fare fuori se non ti vuoi divertire? Neanche l'idea di scofanarti il sugo all'anatra ti mette di buon umore?
Sembrano imbalsamati, un museo delle cere anche al Maccherone, solo che gli ho preparato il tavolo vicino alla stufa, speriamo che non si sciolgano. Anzi speriamo di si, che almeno la situazione prende vita, i commensali aprono le bocche e sembra finalmente di stare al ristorante.
Ritorno al tavolo e timidamente chiedo "desiderate ordinare?" Ho interrotto il loro silenzio, le loro teste si alzano e mi piovono addosso sguardi stralunati, come se avessi chiesto loro di che colore era il cavallo bianco di Napoleone.
Si consultano tra se sottovoce, mettendosi la mano davanti alla bocca per non farsi sentire, come volessero nascondermi un segreto.
"Ma no tranquilli se non me lo volete dire cosa volete ordinare, fate pure, io passavo di qua, mica dovete riferirli alla cameriera i piatti che avete scelto.."
A volte temo persino che potrei chiuderla la mia eccekitchen in rosa, i cui ignari protagonisti sono da sempre stati i clienti della trattoria sull'ebbro colle. Solo che adesso non lo sono più e già mi mancano.
Per fortuna ho ancora una serie di perle che costoro mi han lasciato negli ultimi giorni di lavoro, così densi, così belli, vissuti senza dormire e alla fine senza fiato.
E' la settimana che precede il Natale, ci sono talmente tante richieste di prenotazione che decidiamo di aprire anche a pranzo nel tentativo di accontentare tutti.
I signori hanno prenotato un tavolo per 8, hanno talmente insistito per trovare un posto che hanno rinunciato a venire a cena, ripiegando sul pranzo infrasettimanale, perché naturalmente il fine settimana era già completo da mo'.
Mi avvicino al tavolo per lasciare il menu e chiedere se vogliono dell'acqua, ma tutto tace. Decido di non insistere e aspettare qualche minuto, e mi metto a osservarli dall'angolo della sala per capire il momento in cui presentarmi di nuovo al tavolo.
Nessuno di loro parla, come se tutti fossero affetti da mutismo. Hanno volti seri che non lasciano trapelare alcun sorriso. Non so, magari hanno dei problemi o forse sono in lutto, per carità, però la prima impressione che ho è del tipo: sai che palle andare al ristorante con l'aria da funerale, soprattutto quando hai insistito oltremodo per trovare un tavolo disponibile. Ma che ci vai a fare fuori se non ti vuoi divertire? Neanche l'idea di scofanarti il sugo all'anatra ti mette di buon umore?
Sembrano imbalsamati, un museo delle cere anche al Maccherone, solo che gli ho preparato il tavolo vicino alla stufa, speriamo che non si sciolgano. Anzi speriamo di si, che almeno la situazione prende vita, i commensali aprono le bocche e sembra finalmente di stare al ristorante.
Ritorno al tavolo e timidamente chiedo "desiderate ordinare?" Ho interrotto il loro silenzio, le loro teste si alzano e mi piovono addosso sguardi stralunati, come se avessi chiesto loro di che colore era il cavallo bianco di Napoleone.
Si consultano tra se sottovoce, mettendosi la mano davanti alla bocca per non farsi sentire, come volessero nascondermi un segreto.
"Ma no tranquilli se non me lo volete dire cosa volete ordinare, fate pure, io passavo di qua, mica dovete riferirli alla cameriera i piatti che avete scelto.."
Fico davvero un ristorante in cui i clienti nascondono alla cucina cosa vogliono ordinare, Inauguriamo un nuovo concetto di ristorazione basato sulla cabala napoletana: a ogni smorfia del cliente corrisponde un numero di pietanza. E' il cameriere a dare i numeri alla cucina, a seconda delle smorfie e smancerie dei clienti (a dire il vero questo succede già da anni al Maccherone, ma il cameriere dà i numeri e basta). Alla fine del pranzo, con tutti quei numeri si potrebbe anche procedere con un'estrazione. Ma chi vince?
Chi fugge o chi resta?
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