Mi
puoi reggere la borsa mentre vado in bagno?
Ma
che diavolo c ha messo dentro? Mi sta segando il braccio a metà. Ho la
circolazione bloccata, e mi potrebbero prendere la vena coi rebbi della
forchetta. C ha messo le scarpe di
ricambio, l’ombrello in caso di pioggia, il golfino in caso di freddo agostano,
il portafoglio e nulla più, dice. E poi un paio plinti in cemento armato e
qualche monolite a equilibrare il peso. Ma non ha la trousse del trucco.
"E
per fare cosa?" mi chiede
Ho
un mancamento; beccare una donna senza la trousse è come trovare sull’isola uno
famoso davvero, ma mi sento anche sollevata. Se non va in bagno per truccarsi
allora farà in fretta e si riprenderà la sua borsa foderata di piombo.
Le
rendo il macigno. Sulla pelle mi resta impressa la cicatrice scavata dai manici
di corda della borsa, che mi hanno coltrato l’intera spalla in solchi paralleli
a mo’ di aratro. D’altronde è la borsa della giornalista giardiniera.
Siamo
ad una delle serate Spoon, iniziativa molto bella, che ha visto partecipare
chef stellati “al cucchiaio”, al fianco di Peter Brunel e Loretta Fanella sulla
riva gauche dell’Arno.
Bella
senza dubbio, come bello è il BSJ, come belli erano i piatti uno per uno.
E
non c’è neanche bisogno di intendersi sul concetto di spoon, perché magari
c’era e io non l’ho capito. Anzi di sicuro è così. In fondo spoon ha tante
sfumature, può andare dalle note rock indie del Texas, al ritmo in versi di un
epitaffio o semplicemente riferirsi alla forma di una posata.
Tranquillizzatevi,
il menu si affronta con tutte le posate e c’è un unico piatto al cucchiaio. Che
una cena fatta di pietanze da mangiare col cucchiaio, dove l’elemento
masticatorio è quasi assente, sarebbe l’inaffrontabile.
A
dispetto del menu, il mio il piatto spoon è stato lattuga di mare, firmato Roy
Caceres. Una gondola di insalata col
cuore di ostrica e maionese all’ostrica e nocciole caramellate. Che navigava in
mare di acqua di pomodoro.
lattuga di mare
Non era quello il piatto da mangiare col cucchiaio,
ci volevano anche le altre posate, e non era nemmeno il piatto spooning, quello
che ti avvolge e ti coccola in un abbraccio a cucchiaio. Tutt’altro. A dirla tutta non era neanche il piatto
spoonful, perché l’ostrica non è roba da cucchiate o scofanate. È il piacere di
un brivido, una consistenza, l’attimo del transito in bocca. E poi la forza
impressa dai denti sull’insalata croccante, che ti tiene l’ostrica in bocca
ancora per un po’. Alla seconda sarebbe già
meno brivido. E nei confronti di certi cibi io credo in un approccio diverso
che ricerca quel gusto della prima volta sempre.
In
conclusione lattuga di mare è stato il mio piatto let’s spoon detto a un’ostrica, perché dirlo a Roy Caceres mi
sembrava eccessivo. Quindi ho flirtato con un’ostrica. Non lo avevo mai fatto.
Ma
forse è proprio questo il senso della spoon night. Che ciascuno trovi il
proprio dove e come vuole.
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