giovedì 14 novembre 2013

AL RISTORANTE TUTTO FA BROADWAY

La notizia è della settimana scorsa, quella relativa a due noti ristoranti parigini très chic la cui politica è quella di mettere in mostra vicino alle vetrine i clienti belli, e di relegare a angoli appartati e poco in vista i clienti brutti.
Così riferiscono alcuni camerieri impiegati nei locali stessi.
Al di là delle questioni logistiche del tipo come fai a sapere se il cliente che prenota è bello o brutto se non lo conosci, c’è la spinosa questione etica: che stabilisce chi sia bello o brutto, e in base a quali canoni?
Secondo il racconto di una delle cameriere il proprietario si esprimeva con espressioni del tipo: “che ci fa quel ciccione in mezzo al ristorante, mi fa scappare tutti i clienti”.
Pertanto anche al ristorante si applicano i canoni estetici medi televisivi ovvero visi stirati e abbrustoliti da solarium ad alta pressione, donne dalla magrezza più emaciata che fashion, tutte spigoli più morti che vivi, la cui unica morbidezza sta nelle labbra al silicone: ma che roba mangiano persone così? È un’insalata scondita che il ristoratore vuole vendere? Ai fini pubblicitari non sarebbero più efficaci donne botero che in vetrina si scofanano due fette di patè de campagne con pane e burro bretone?
Questa è la celebrazione di un tipo di marketing in cui la pubblicità al locale non la fa il cibo, ma il cliente, non con il tanto agognato passaparola ma con il passa di qui, guarda quanto sono bello in vetrina e fermati.  Logica chiaramente inapplicabile per quei locali le cui sale si affacciano su corti interne e quant’altro. Se fossi il gestore di una delle buche fiorentine potrei suicidarmi..
I clienti diventano ignari attori protagonisti di una pubblicità occulta (ma neanche tanto occulta), che recitano in pubblico pezzi di vita vera e privata, condividono momenti intimi come lo stare a tavola e mangiare, in vetrine palcoscenico di indigeribili realityrestaurant.
Della seria cosa non si farebbe per metter su due coperti in più..

E io non posso fare a meno di pensare che al ristorante non tutto fa brodo, ma molto fa Broadway 

sabato 9 novembre 2013

VINI AMICI: ADDIO SOLITE SCUSE


Infame.
Essere immondo
Gabibbo impedito
-Ehi ti vuoi calmare?
-Calmare un corno! Tanto per restare in tema..
Ci siamo, cuore infranto.
Nel mio passato di ragazza tonda, più simile all’orso Yoghi che alla fata turchina, ho collezionato un bel numero di fregature. Le scuse erano talvolta dei veri capolavori di idiozia. Ora ci rido. Ma quella dell’Aurora ha dell’incredibile. Alla sua (di lei) domanda: cosa ci facevi con quella panterona cotonata già maggiorenne negli anni Ottanta?
Lui con l’aria seriosa di chi vuol convincere prima se stesso di lei le ha dato la seguente risposta:
-una chiacchierata. Mi ha dato delle grandi soddisfazioni mentali..
mi prende un colpo di tosse, senti questo che genio
-E tu cosa gli hai risposto a Einstein?
-Gli ho dato la formula per andare affangiro con moto accelerato. Avrà di che elucubrare..visto che cerca soddisfazioni
-E poi?
-E poi è partita la terapia d’urto: rum e cola e nicotina
-Ma che sei scema? Vuoi dimenticare o perforarti lo stomaco con quella schifezza?

Tiro fuori la mia cura dal frigorifero: è un trebbiano d’abruzzo di Masciarelli, è del 2010, ma tutt’altro che pensionabile. Direi che è il vino perfetto, primo perché in frigo c’ho solo questo, secondo perché la bottiglia costa poco più di 5 eurini. Adoro questi vini con investimento a basso rischio, nel senso che, male che vada, c’hai speso poco. Masciarelli invece è l’affare sicuro, i frutti son tangibili (agrume e pesca!), il godimento è immediato, con finale in crescendo. Alto gradimento per l’allungarsi in persistenza. Tutte caratteristiche che per lo più sfuggono al maschio medio italico..
In alto i calici in onore ai vini amici, vale a dire quelli che ti puoi permettere, che hanno un’ottima funzione analgesica contro quei dolori al petto che spesso son più fitte al cuore. Per i casi più gravi come cuori sbriciolati consiglio di passare direttamente al pane e mortadella.

lunedì 4 novembre 2013

IL VINO DEGLI ALTRI

"Sabri vengo su a trovarti così si fa due chiacchiere e ti porto qualcosa da bere insieme".
Il nostro bere insieme si chiama Gottardi, e senti che bel nome, da ripetere a mo' di rosario, almeno due volte al giorno.

Ce ne beviamo un po’ insieme poi io devo alzarmi: la sala inizia a riempirsi.
Tra una comanda e l’altra saluto il mio amico caro, che si alza abbastanza presto: la conversazione è finita bruscamente causa avventori
-Tranqui sabri io non la finisco, quel che resta è per te, te la bevi in tranquillità a fine servizio e mi chiami, così si finisce il discorso.
-Ok e scusa, ti chiamo dopo con mazzon alla mano

Rientro in sala per sbarazzare il tavolo e portare nelle retrovie il buon Gottardi. Caspita come è leggera la bottiglia. Caspita è vuota! Ma non aveva detto che..
Mi basta una rapida occhiata al tavolo di fianco per capire che nei loro bicchieri non c’è il Morellino che gli ho servito.. ci saranno almeno 5 toni di rosso di scarto. Se a qualcuno di Scansano gli esce un sangiovese di quel colore, è meglio che si metta a vendere il Kirby. Tanto fregatura per fregatura..
Madonna che stizza, son paonazza dalla rabbia, quel vino era mio, mio, me lo dovevo fare io il buon Gottardi, con tenerezza e garbo, non darlo in pasto a cougar girl agghindate da far andare in tilt tutti i metal detector da qui a Capo Nord. Speriamo che almeno lo abbiano apprezzato, anche se ho i miei dubbi: avere rispetto per qualcosa, vuol dire anche chiedere prima il permesso per..
Tralascio lo sproloquio che mi viene in punta di lingua, che al cospetto Tondelli scriveva le lettere agli apostoli..
Pongo la domanda più in generale: se al tavolo accanto lasciano del vino nella bottiglia, quel vino è già pagato, quindi non si arreca nessun danno economico al ristoratore se lo si beve, ma questo autorizza qualcun altro a scolarselo zitto zitto e poi riporre la bottiglia sul tavolo con indifferenza?
Voi lo fareste mai? O peggio lo avete mai fatto? Avete visto qualcuno che lo faceva?

Altrimenti mi chiedo: ma capitano tutte a me?