lunedì 25 luglio 2016

E COME MI DIVERTO DOPO TOMEI?


Seduti a tavola si possono fare tante cose: parlare, fare affari, fare l amore, mangiare bene, mangiare male, semplicemente mangiare, talvolta divertirsi mangiando. E quando questo succede, tipo all’Imbuto a Lucca,  ridono per primi gli occhi, poi ridono le guance, e pure lo stomaco. È un ridere incredulo, che tanto è il guazzabuglio del palato, scompigliato da un guazzetto di sensazioni inedite.
E si diverte parecchio anche lo chef a lasciarti a bocca aperta, quando torna al tavolo e ti svela l’ingrediente che tu manco per miracolo avresti azzeccato. “zuppetta di alghe e ravioli che sono..ravioli punto. Una ricetta mari e monti” lancia l’amo e se ne va. Poi ritorna “ravioli di fagiolini, santoreggia  e mirtilli”, capendo che ci potremmo perdere per le montagne boscose alla ricerca dell’ingrediente.
“Qui abbiamo anatra, salsa al whisky torbato e cedro candito”. Ed è quel piatto che mentre te lo racconta ti ha già convinto, sai già che ti piacerà. Batto le mani come i bambini quando sono emozionati. Poi lo chef mi guarda e aggiunge: “è anatra, anatra bollita”. E mi si gela il sangue. Lo chef è matto. 

anatra bollita salsa al whisky torbato e cedro candito

Se non fosse stato super Tomei gli avrei chiesto  dimmi che sostanza usi e passami il contatto, perché mi sono persa l’anatra lessa per 40 anni.
“questa invece è salsa mou” dice lo chef “ non vi dico altro”. Nella salsa insistono delle fettine dalla consistenza di una frattaglia. Ma figurati, vabbè dai sto delirando. Provo a ipotizzare fegato così a caso, quasi per scherzo, tanto è il mio stato confusionale in questa giostra di sapori, che mi gira la testa. Poi svela: “ È rognone”. Signori, quest’uomo ha sposato il rognone alla griglia con la salsa panna e caramello. Ora dico io, l’idea sarà partita dal rognone o dal mou? E poi mi dico ancora, ma che differenza può fare?  In condizioni normali all’uomo medio  verrebbe da pensare che il mou sta al rognone come la simpatia sta a J-Ax, poi lo assaggi e sei senza parole. Stupefacente. Ed è un modo di stupefacersi senza usare alcuna sostanze illegale.

rognone alla griglia e salsa mou

All’Imbuto non puoi scegliere dalla carta, mi ha detto qualcuno quasi contrariato. È lo chef che sceglie per te.  Che scelga pure lui per me tutta la vita e non mi annoierò.  Detto alla fiorentina: ma dicché si parla?
Sei arrivato in via della (equazione) Fratta, quella con la doppia incognita: sopra e sotto la frazione. Non sai cosa ti verrà servito, ma anche se tu lo sapessi l’incognita resterebbe. E tu cerchi una carta per rassicurarti: so cosa ho scelto, mi arriverà quello che mi aspetto. In teoria potresti crederti abile da scegliere le uova strapazzate, ma sopra troverai l’incognita di un cuore di manzo grattugiato e sotto l’incognita saranno chioccioline di mare.  Potrai ordinare la pizza di grano arso e mangerai, senza saperlo, del coniglio crudo, probabilmente per la prima volta nella tua vita. Sempre convinto di voler scegliere?
Il mio consiglio è fatti guidare, chiudi gli occhi e fidati, almeno per una volta, almeno a tavola con Tomei. Divertimento assicurato.

L'IMBUTO
via della Fratta 36, Lucca
www.limbuto.it 

lunedì 18 luglio 2016

LA TENDA ROSSA SULLA TORRE DEL CHIANTI e riflessioni sul concetto di fico


“Dai andiamo a trovare Natascia sulla Torre!” mi propone la Stef qualche sera fa. Per chi come me ha lo spirito d’iniziativa di un gatto addivanato in piena fase digestiva, gli amici vulcanici sono la salvezza. Posso però dire che la mia carenza di idee è direttamente proporzionale all’entusiasmo con cui accetto quelle altrui interessanti
“Dai fico!” rispondo eccitata, interrogandomi sull’adeguatezza della mia esclamazione.
La Torre del Chianti è alta 33 metri, non ha merli, né campane, ma una struttura cilindrica grigia in cemento armato, è di proprietà del Comune di San Casciano, ed ha la funzione di deposito dell’acqua. Un ascensore a vetri esterno conduce fino alla sommità: una terrazza circolare con un panorama da togliere il fiato. Tra le luci di Firenze che brilla all’orizzonte, l’occhio attento può scorgere la cupola del Brunelleschi, mentre nelle serate limpide si può addirittura vedere il mare.  È una di quelle strutture ingombranti sul territorio, ma resa bella da un’idea.
E l’idea è di Natascia Santandrea, regina della Torre dell'acqua, che vi accoglie sulla cima, all’aprirsi delle porte dell’ascensore, con un sorriso radioso ed eleganza regale. Vi dà il benvenuto in questo salotto a cielo aperto, arredato con tappeti e candele, come fossimo in una tenda berbera  e invece siamo a San Casciano e la tenda è quella rossa di Cerbaia. In altre parole fico.
Arriviamo sulla torre nel tardo pomeriggio, con la Stef che fissa il pavimento dell’ascensore mentre saliamo, perché a guardare di sotto le viene un capogiro. Ma ti sembra normale che una che soffre di vertigini ti invita a cena in cima alla torre circondata da vetri?



Le porte dell’ascensore si aprono,  Natascia ci aspetta, elegante col vestito dalle tonalità dorate, e ci fa accomodare su dei cuscini in terra e subito ci serve un Gin Tonic Rosé e dei biscottini salati “perché vedo la Sabri assorta -dice- forse avrà sete”
“Mica c’è salita a piedi sulla torre” -è il commento della Stef
"Fiiico." è tutto ciò che mi viene da dire mentre guardo imbambolata il panorama. Rieccolo. E' il mio linguaggio talmente povero da non trovare un altro aggettivo qualificativo consono?
Forse non me ne vengono altri perché semplicemente è l'espressione appropriata, che traduce quello che penso e sento. Fico è un’espressione di pancia, intima, immediata, una reazione di getto davanti a qualcosa che ti colpisce alla vista e in questo caso anche al palato. È più di un semplice bello, è chic, è originale, esclusivo, ganzo, emozionante. Tutto ciò tradotto con quattro lettere. È un po’ come il OH WOW! degli americani, che non è l’impoverimento del linguaggio, ma un’espressione di stupore felice. Precisa, essenziale, diretta. Fico è un aggettivo, a mio avviso, già declinato al grado superlativo senza bisogno di suffisso. Ed è perciò una parola bella, è una ex parolaccia a nuova vita restituita, entrata a far parte del linguaggio comune, da quello dei cartoni animati a quello politico. Ora, se vale quanto detto sopra, quello politico attuale è l'unico ambito in cui fico è inapplicabile, ma è solo una mia personale osservazione,

Cala il sole e cambia il panorama dalla torre con la luce del tramonto, e poi cambia ancora all’imbrunire. Si accendono le candele sulla terrazza e la luce di un riflettore da cinema posizionato in un angolo. Sempre che si possa trovare un angolo in una terrazza circolare. Il tempo scorre, sei sempre lì, ma nel frattempo ti sembra di essere stato in posti diversi, tanto cambia la percezione del paesaggio al variare della luce. E cambia il vino che ci viene servito, quasi ci fosse un vino adatto per ogni ora della sera. E forse c’è, e Natascia l ha trovato. Poi arriva la cena al sacco, preparata nelle cucine del ristorante e trasportata al momento dalle mani di Maria Probst fino in cima alla torre. Chissà perché l’immagine della chef che guida il furgoncino, veloce, con i sacchetti di carta con la cena,  mi pare a tratti buffa e a tratti tenera.  




E come dal sacchetto di Mary Poppins, escono le caramelle al salmone e ginger,  gli spaghetti nel vasetto con cozze e bottarga, ancora caldi e abbondanti, perché alla tenda Rossa non c’è solo il bello e il buono in un piatto, ma anche la sostanza, e di questo ve ne siamo grati.  E poi ancora uno spiedino di quaglia e verdure e un wafer di cioccolata piccante. Puoi cenare sdraiato sui cuscini, oppure su un puff in pelle, su sedie decò o su un elegante divanetto e osservare le luci delle case che si accendono e si spengono come in un presepe. Nel dopocena puoi osare con un  sigaro toscano abbinato ad una grappa elevata in legno.
E ditemi se tutto questo non è fico.
Ovvio che occorre prenotare, sennò rischiate di fare il viaggio a vuoto. Sbrigatevi perché avete tempo solo fino ad agosto
info@latendarossa.it
055826132

domenica 3 luglio 2016

STAGISTI IN CUCINA

In questo mese di prima linea in compagnia di Paolo e Andrea, ho riprovato l’adrenalina del servizio e quel piacere che si prova pranzo dopo pranzo, cena dopo cena, quando la fatica e la tensione se ne vanno, per lasciare spazio alla soddisfazione che un lavoro portato a termine ti lascia.
Come in ogni esperienza di lavoro ho imparato, ho vissuto e ho conosciuto una realtà che finora mi era estranea: quella del tirocinio. E una brigata costituita per lo più da stagisti un po’ svogliati e a tratti fancazzisti, mi ha fatto sia ridere che ingrossare il fegato. Spesso mi ha portato a fare delle serie e profonde parti di merda a ragazzini parecchio più alti di me. 
A fronte di questi 30 giorni di convivenza posso stilare anche io la mia classifica:
Stagisti le 7 cose da sapere.

1.   lo stage è un momento importante di formazione, sei sul pezzo, osservi, fai domande. La domanda più frequente che mi è stata posta?
“Ora non c’è neanche una comanda, posso andare a fumare?”

2. esiste un solo orario da rispettare, quello del fine turno. La puntualità è un optional quando si entra in servizio. A volte non ci si presenta proprio al lavoro, avendo cura di non avvertire, sennò troppo facile. Le cause più frequenti: il ciclo, la festa sotto casa, se sono nervoso lavoro male.

3. L’importanza dell’attestato del VaccaACCP= Vacca boia che seccatura sanificare la postazione dopo ogni servizio. Nei casi peggiori, come pulizia dell’affettatrice o dei frigoriferi si passa al VaffaACCP

4. lo stagista che ha tempo aspetti di perderlo trafficando al cellulare o suonando bonghi e tamburi fatti con culi di padelle e mestoli. Senti, ma se invece di suonare ti preparassi la linea? “Ma tanto c’ho tempo, lo posso fare dopo”.
Dopo, ovvero durante il servizio d’assalto, amico stai sulla linea, si, ma quella gotica.

5.   le dimensioni delle verdure a cubetti. Un centimetro è la centesima parte del metro, non un concetto liberamente interpretabile che spazia dalle dimensioni di traversine ferroviarie ai granelli di sabbia. E non mi rispondere che tanto è uguale, perché mi viene il sospetto che tu, stagista quasi maggiorenne, non sappia fare manco una macedonia.

6. lo stagista ama la pellicola. Metri e metri di pellicola consumati per soffocare quei poveri salumi, che nemmeno per avvolgere Laura Palmer in Twin Peaks. Tesoro basta che copri la parte tagliata, non importa che gli fai fare due giri in orizzontale, tre in verticale e sedici in trasversale. E’ un prosciutto e tu non sei Christo.. “Ma sennò si secca”. Ti è giunta voce che ha stagionato per 24 mesi all’aria, senza un centimetro di Domopak?

7. La ricetta autogestita. Porta a casi come la maionese stratificata: uovo sotto, olio sopra e nel mezzo tanti “bruscoli”..o il tentativo di addensare la besciamella senza passare dal fuoco. E gira e gira con quella frusta, forse è sempre lì a girare e sfidare le leggi degli amidi.


Ci sono stati anche stagisti bravi (uno per la precisione, ma il plurale mi fa suonare meglio la frase), che si sono impegnati e che sono stati giustamente premiati con un lavoro, appena conclusa questa esperienza con noi. E’ successo davvero e ne sono felice. In bocca al lupo!