mercoledì 12 luglio 2023

A Pancia Piena miglior street food di Toscana 2024



Sieci rules!!
Dalla Val di Sieve solo cose belle. Gioco in casa e non potevo non spendere due parole per questo bel successo di due amici e del loro lampredotto che fa parlare di sé ormai in tutta Italia.
A Pancia Piena è il nome del chiosco-truck gestito da Emanuele Nenci e Iuri Ronchi alla rotonda delle Sieci, lungo la  statale 67 Aretina, che un tempo conduceva i pellegrini a Roma; ora ai pellegrini del cibo basta fermarsi alle Sieci per stare parecchio bene.
Quest'anno A Pancia Piena si è aggiudicato il titolo di Campioni Regionali Toscani nella guida del Gambero Rosso Street Food 2024.  Ma per noi di Pontassieve e vicinanze campioni erano già da anni.



E non solo per il lampredotto.  A quella che ormai è soprannominata la rotonda dei miracoli, è possibile accompagnare il cibo di strada con champagne e vini di Borgogna selezionati personalmente da Emanuele. Se non è un miracolo questo!
Oltre al lampredotto ci sono un sacco di altre cose buonissime dai nomi fantasiosi, che già prima di assaggiarle fanno sorridere per simpatia. 
In estate il chiosco è aperto anche alcune sere a settimana e lì ci si trova di tutto: famiglie, appassionati, colleghi del settore, insomma un luogo trasversale per le bocche di tutti, dove il cibo mette d'accordo sandali e scarpe a punta lucide. 
A scorrere le foto sul profilo facebook del chiosco certe sere #sembradiessereaReims invece che alle Sieci. L'hashtag è quello giusto da usare. 


Hanno addirittura lo champagne della casa. Buono. 


A Pancia Piena è la sicurezza da 19 anni, e di sicuro la maggioranza di voi lo conosce e gioisce per questo premio meritato. Quelli che non si fossero ancora fermati -oh che aspettate dell'altro?-

P.S. Se mi conoscete e salite alle Sieci per fermarvi alla Rotonda dei Miracoli, se mi avvertite scendo anche io ;-). Ci si trova lì, in pochi minuti arrivo!

Credits: A Pancia Piena/Nenci Emanuele

mercoledì 31 agosto 2022

In vacanza: Appennino blues

mi sono dedicata la bottiglia:
champagne Good Luck faceva proprio al mio caso!
 

Saluto questo agosto con un paio di racconti sulle ferie ormai andate da un po’. 

Avendo 5 giorni risicati scelgo una meta vicina a casa, montagna ovviamente. 

Un paesino sull’Appennino tosco emiliano, sul versante bolognese, poco distante da Porretta Terme.

Porretta Terme? Eh si tranquilli, anche i miei amici hanno avuto più o meno la vostra stessa reazione. Da sola a Porretta Terme? Più che una vacanza sembra un tentativo di suicido! Anche mia madre, dalla sua non più tenera età ha mosso una considerazione lapidaria: tu incontrerai gli anziani del comune, li mandano sempre lassù alle terme coi soggiorni estivi. Almeno non ti senti sola..

Amore di madre sincero.

Parto con le raccomandazioni di amici e colleghi, quelle rassicurazioni tipo, -no ma vedrai che ti diverti-; oppure -si guarda che lassù è meglio di quanto si creda-; -vai vai che qualche anziano lo rimorchi-. Che servono più a convincere loro che me, perché io non vedo l’ora di partire.

Tra gli altri consigli degli amici, uno su tutti: se vuoi farti notare vai al baretto del paesino e ordina champagne. Ti pescheranno l’unica bottiglia che sta là da prima della guerra, piena di polvere e te la mostreranno fieri.

La seconda sera metto in pratica il consiglio. Mi reco al baretto, sorta di centro nevralgico del paese con tanto di bocciofila all’esterno, dove un gruppetto di anziani, tra cui una signora, stanno giocando a bocce. Via dai non sono sola. Mi colpisce uno dei giocatori dai bermuda verdi, sandali e calzini di spugna bianchi lunghi. Porta sulla spalla anche un piccolo asciugamano per asciugarsi il sudore dopo lo sforzo del lancio della boccia. Deve essere tremendamente pesante una boccia, penso. Mi viene da ridere, ma mi trattengo: io sto per entrare in quel bar con le tende antimosca di plastica e chiedere uno champagne. Faccio più ridere io di quei calzini bianchi rifrangenti.

Entro e mi guardo intorno; ci sono solo due tavoli occupati. Un signore anziano concentrato nella lettura del quotidiano e altri due dall’aria più giovane che stanno bevendo: dal colore potrebbe essere birra o anche spuma, ma decido di non fissarmi su sta cosa o non chiederò mai delle bollicine francesi. Il barista, stessa classe degli astanti più o meno, è indaffarato a sistemare i bicchieri.

-Buonasera, mi dica?

-Vorrei bere qualcosa.

-Prego- e mi indica gli scaffali in vetro e specchio alle sue spalle dove c’è un buon assortimento di liquori e qualche bottiglia di vino.

-Mi dia uno champagne!

Lui mi guarda un attimo, non con sorpresa, ma proprio con uno sguardo di terrore.

-Vorrei la bottiglia intera intendo-, mi sento in dovere di specificare, non so perché…

Lui sembra accennare un leggero rilassamento, compare un guizzo di luce nei suoi occhi, forse il ricordo di una bottiglia da qualche parte gli accende un lume di speranza: venderla finalmente, e esaudire l’eccentrica richiesta di una “giovane” forestiera.



La scena come da copione: il barista prende una sedia, ci sale sopra per afferrare una bottiglia talmente impolverata da camuffarne anche la forma oltre che l’etichetta. Una bella spolverata con la pezzetta umida e tac champagne di una nota maison. Non mi resta che prenderla e muta. Ho avuto la sfrontatezza di chiedere champagne e lui me l’ho trovato. Ora lo bevi e zitta mi suggerisce quel barlume di coscienza che mi resta. Chiedo del ghiaccio per raffreddare la bottiglia e lui mi prepara una vera glacette, poi mi chiede

-quanti bicchieri le servono?

-Ma, uno mi basta- rispondo. Altro attimo di esitazione da parte sua, di nuovo il terrore negli occhi: questa mi fa chiamare l’ambulanza stasera, avrà pensato. Poi si riprende e come se nulla fosse mi porta glacette e bicchiere al tavolo, qualche tovagliolo e sparisce. Torna dopo poco con noccioline, patatine e la focaccina che stava esposta nel banco tagliata a quadretti. La focaccina intera!

Sarà stata una tattica di tamponamento anti sbronza molesta.

Devo solo attendere che la mia bravata sorta qualche effetto. Attirare l’attenzione dei fauni locali. Ma non c’è anima viva nel bar tranne quei signori di cui parlavo prima. Quello intento alla lettura è sempre nella stessa posizione, come assorto. Boh forse dorme o magari è sordo.

Gli altri due invece mi fanno cenno di brindisi con i loro bicchieri, divertiti dal teatrino a cui hanno appena assistito. Staranno di sicuro scommettendo se la finisco tutta davvero.

L’ho finita tutta. Ovviamente insieme a loro, visto che nel bar non si è presentata anima viva.

Siamo usciti tutti e tre un po’ barcollanti, io con qualche nozione di pesca e caccia al cinghiale, loro con una storia buffa da raccontare a casa a cena.

 

venerdì 15 ottobre 2021

L'IMPORTANZA DI ESSERE UNA SFINGE

Lavorare al pubblico è una cosa bellissima, ogni giorno qualcosa da imparare con divertimento.

La mescita al bicchiere di uno splendido sangiovese della Rufina del 1980, mio conterraneo, le cui poche bottiglie rimaste vanno via come il fumo, è fonte di grande soddisfazione personale e talora vero spasso.



Il cliente di stasera ha l'aria perplessa, poi con tono saccente si esprime: "lo trovo leggermente ossidato, forse avete la bottiglia aperta da tempo..".

Davanti al cliente io, in pratica una sfinge. Nessun sentimento, né smorfia trapela dal mio volto. Mi sono ossidoridotta, ho soffocato l'istinto della risata fragorosa, e incassato senza tentare una risposta esplicatrice. Nessun riferimento alla bottiglia spillata da macchina e neppure ai 40 anni di età di un sangiovese che si presenta con leggera ossidazione.

Nulla, sono una tomba, un monumento funerario tra i tavoli del dehors anziché in mezzo alle piramidi. Davanti a me solo un bicchiere con del vino granato-rugginoso come le dune rosso del deserto. 

Il cliente ha ragione su quella ossidazione accennata; ma la domanda dovrebbe sorgere spontanea: sarà dovuta alle 6 ore di apertura in enomatic o ai 41 anni di età del vino?

Ma in fondo non ha importanza, quale-che-sia-il-motivo-il-secondo, egli senza volere, ha fatto un gran complimento e io gli sono riconoscente. E fare la sfinge, con l'ossidazione volontaria e forzata di tutte le endorfine in circolo, ha dato i suoi frutti. 

All'attivo quattro calici abbondanti che il cliente si è bevuto alla cieca lasciandosi consigliare in totale fiducia, felice e dimentico di quella ruggine, che altro non è che l'evoluzione ossidativa di quella componente sanguigna tanto evidente nei sangiovese della Rufina.

giovedì 7 settembre 2017

INSALATA DI RISO: IL CONTEST

Contest è in questo caso la parola più appropriata. Il prof Leonardo Romanelli contesta la supremazia assoluta dell’insalata di riso quale pietanza estiva per eccellenza. E lancia la sfida: convincetemi che l’insalata di riso abbia un senso edibile.
E si scatena la bagarre. Decine di ricette hanno intasato la pagina web del povero Romanelli che mica se lo aspettava tutto sto casino a seguire..e alla fine gli toccherà pure di assaggiarle tutte, quelle insalate di riso originali e bizzarre.
A Romané c’hai provocato..
Senso edibile o controsenso questo lo dirà la giuria convocata a giudicare le dieci insalate di riso finaliste l’11 settembre alla Buoneria a Firenze.


Alcune personali osservazioni.
L’insalata di riso ha da essere tanta, esagerata, barocca, la sfida reale è aggiungere sempre un ingrediente in più, mai uno in meno. In totale controtendenza con la cucina contemporanea il principio dell’insalata di riso non è togliere ma mettere, aggiungere. Alla fine ne deve venir fuori una porcata di tali dimensioni che nemmeno Nigella Lawson oserebbe pensare. E per questo non può non piacere. Al bando le facce schifate dall’insalata di riso, compresa quella del Romanelli: nessuno vi crede. E nonostante il trionfo d’ogni ingrediente più fantasioso l’insalata di riso continuerà ad essere percepita come una pietanza fresca, estiva, addirittura leggera e quindi adatta per il pranzo in spiaggia. A questo proposito prendiamo in esame 
l’insalata di riso popolare versione basic total comfort
Gli ingredienti innanzitutto:
riso parboiled (se si comincia a interrogarsi su che tipo di riso impiegare siamo già fuori, l’insalata di riso non ci appartiene)
wurstel a dadini
cubetti di formaggio
prosciutto cotto a dadini
tonno sott'olio
e acetelli come se non ci fosse un domani per sgrassare la bocca asfaltata dal mix di ingredienti di cui sopra.
Ne risulta pertanto una pietanza equilibrata nei sapori, con diverse texture a seconda della cottura o scottura del riso e assai nutriente perché contiene tutte le proteine possibili immaginabili, di ogni provenienza e genere: quelle della carne, quelle del pesce, quelle del formaggio e le nobilissime proteine dell’uovo nella versione deluxe illustrata in seguito. È la pietanza popolare che sfata la credenza altrettanto popolare che carne e pesce non vanno mai mescolati. Qui tonno sott'olio e wurstel vanno a braccetto.
Dosi e quantità: assolutamente a caso, l’assenza di logica vince. È il fattore stupore a colpire gli astanti.
Attrezzature necessarie: un coltello e una zuppiera e due cucchiai per mescolare l’insalata (i più abili possono cavarsela con uno solo). Un frigorifero: l’unico modo per rendere fresca l’insalata di riso.
Abilità richieste: nessuna. Più si è imbranati ai fornelli migliore sarà il risultato.
Poi esiste la versione deluxe: quella con l’uovo sodo e i riccioli di maionese. Questa versione richiede invece una certa preparazione in cucina. Occorre mettere le uova in acqua fredda, portare a ebollizione, far bollire per 5 minuti, quindi raffreddare le uova sotto acqua fredda e poi sgusciarle e tagliarle..insomma una cosa complessa per l’insalata di riso. E saper fare i riccioli col tubetto di maionese. Una fatica inutile. Va benissimo la versione basic total comfort.

Unica accortezza: se la mangiate in spiaggia lasciate passare almeno 3 ore prima di fare il bagno.


credits today.it

venerdì 1 settembre 2017

PARTITE A TAVOLA: Fiorentina - Sampdoria

Fiorentina Sampdoria 1-2
Si torna allo stadio, in una calda domenica sera di fine agosto, il 27 di preciso.
Il campionato riparte e si gioca al Franchi Fiorentina-Sampdoria.
Quest’anno al Franchi oltre alla squadra ospite, ci sarà anche uno chef ospite. Mica chef a caso, ma ben 19 JRE Jeunes Restaurateurs d'Italia, che si cimenteranno nella realizzazione di un piatto tradizionale della regione della squadra ospite.
E per Fiorentina Samp arriva niente meno che Andrea Sarri, chef imperiese, 1 stella michelin, che propone uno dei suoi piatti cult:
raviolini al plin ripieni di pesto, su zuppetta di pomodori freschi e cenere di olive taggiasche; omaggio perfetto alla terra ligure.

chef Andrea Sarri

Ecco la cronaca di una partita a tavola:  
la giornata promette bene: basilico pomodori e olive sono gli ingredienti perfetti per una calda domenica estiva. E poi Firenze ricorda un 27 agosto 2005, quando la Sampdoria cadde a Firenze sotto i colpi di Fiore e Toni.
I raviolini al plin arrivano caldi perfetti ai fortunati fruitori delle aree hospitality dello stadio, ma cala il gelo sul Franchi appena dopo la prima mezzora, Caprari inforca senza neanche impegnarsi troppo.
1-0   per la Samp
Forse cala il gelo anche sul raviolo al plin. Date le dimensioni dei plin si saranno ghiacciati all’istante insieme all’entusiasmo dei gigliati, che continuano a interrogarsi dove fosse Tomovic..
Secondo me stava in cucina a ingozzarsi di raviolini.
Ma il cibo ha il potere di rinfrancare lo spirito dei tifosi: la zuppetta di pomodoro è fresca, dolce e stuzzicante. Niente è perduto ancora.
Passa appena una manciata di secondi e tonfa, arriva un calcio di rigore tanto demenziale quanto sacrosanto: Tomovic pensa di giocare alla palla prigioniera e respinge il pallone con le mani. Ma se restava in cucina con chef Sarri non era meglio?
Insomma i raviolini ormai ghiacciati nel cuore e nella speranza, si ficcano di traverso nelle gole dei tifosi gigliati al secondo gol subito.
Al rientro dagli spogliatoi Tomovic non rientra in campo, ma viene assunto da Galateo a sbarazzare i tavoli dell’area hospitality.  Dice sia piuttosto portato per cucchiai e affini.
Al suo posto entra tale Bruno Gaspar, portoghese. A lui il pesto gli fa pio e al 49’ minuto crossa in mezzo per Badelj che  insacca, dimezzando lo svantaggio dei Viola.
Ma non c’è niente da fare, tanto sforzo fisico e tanta corsa non servono a far digerire l’aglio del pesto e i fiorentini lasciano 3 punti alla Sampdoria che ha fatto terra bruciata. Quasi a ricordare quella cenere di olive taggiasche che forse lo chef aveva pensato come una sorta di incitamento ai blucerchiati “facciamogli ingoiare la polvere” .
Ad accompagnare il Bologna, prossima squadra ospite al Franchi, sarà niente meno che Massimiliano Mascia chef del ristorante San Domenico di Imola.

La grassa Emilia ci darà del filo da torcere.

lunedì 5 giugno 2017

RACCONTI IN NUCE. La prefazione e le mie idee strampalate sulla colazione

Racconti in nuce. Storie di vite e di risvegli quotidiani.
Si intitola così il libro del Prof. Leonardo Romanelli, edito da Mauro Pagliai. Racconti brevi che parlano di colazioni. Buffi e divertenti, a tratti teneri, che rivelano un romanticismo latente del professore, che in queste pagine si esprime il più delle volte per delle patate che sfrigolano in padella con la pancetta,  della cioccolata al rum o del gorgonzola a metà notte.
Io che appartengo al gruppo dei "se faccio colazione con mia moglie chiedo il divorzio", mi trovo a scrivere la prefazione di un libro dedicato proprio alle colazioni. Nel mio modo strampalato ho cercato di articolare un discorso. 
Chiaro che l'idea era quella di invogliarvi a comprarlo questo libro..



Prefazione

Le cose più importanti succedono a colazione.
A colazione a me piace stare da sola. O meglio, sono abituata così. Mi fa fatica parlare, ascoltare o pensare; ho solo voglia di caffè subito.
Aspettami che si fa colazione insieme è una di quelle proposte che mi mettono subito di traverso.
Caso vuole che mi venga chiesta la prefazione a un libro di racconti sulla colazione, prime colazioni quasi sempre a due, che rivelano la bellezza di un caffè condiviso, o la sorpresa di essere svegliati allalba dal profumo di una tazza di karkadé e fettine di mela ricoperte di zucchero e limone. Brevi storie in cui, guarda caso, tutte le cose più interessanti, gli incontri che ti cambiano la giornata, se non addirittura la vita intera, succedono a colazione. Ed è stato leggendo queste pagine che ho capito molte più cose della mia vita, soprattutto quelle che non sono successe.
Poi il pensiero è andato subito a quei poveri diavoli che la colazione la saltano. Ecco, quelli stanno peggio di me, mi sono detta, ma non è servito a consolarmi. Tuttavia, da quando ho letto queste pagine, cerco di essere meno scorbutica la mattina e accettare un cappuccino se me lo offrono anche  a costo di posticipare di un poco la colazione. E se un libro in qualche modo ti cambia, vuol dire che è un buon libro. 
Si è soliti dire che la colazione è il pasto più importante della giornata; leggete queste pagine e vi toglierete ogni dubbio in proposito se ancora ne avete. E senza alcun riferimento da parte dellautore  a aspetti nutrizionali o calorici. E se è vero che la colazione interrompe il periodo di digiuno più lungo, quello della notte, ed è per questo necessaria, in queste pagine spesso va ad interrompere un digiuno inteso in senso molto più ampio: di emozioni, di sorrisi, di sesso, di buonumore.
Una serie di colazioni dei campioni, campioni della normalità, delle persone comuni che ogni giorno si alzano. E i campioni fanno di rado colazione coi cereali, o col pane e nutella, almeno in queste pagine.
Leonardo racconta un po tutti noi: loperaio del macello, il signore in pensione, il giovane che rientra la mattina dalla discoteca, il pasticcere nel suo laboratorio, il tassista, la maestra, ma ci catapulta in situazioni originali. Regala a noi una colazione inaspettata, e la giornata prende una piega diversa. E finisce che i campioni sono sempre felici dopo aver fatto colazione, anche dopo una notte insonne passata a rigirarsi nel letto. Perché un caffè rovesciato sulla camicia bianca pulita, mentre sei sull'autobus, in queste righe va sfociare in un amore piuttosto che in una scazzottata mattutina. Dovremmo tenerlo a mente. Potrebbe sembrare roba da Mulino Bianco, ma non lo è.  Non cè nessun intento di sfottere, credetemi, neanche in Dopo il Cinema, quando lui sveglia lei dopo aver cucinato del riso con pollo, peperoni e mandorle e lei lo accarezza con amore, lo guarda negli occhi e gli ricorda di essere allergica alla frutta secca, anziché tirargli una ciabatta in fronte.
È una felicità non falsa né esagerata, è più quella delle piccole cose quotidiane alle quali non si presta attenzione, presi come siamo dalla fretta mattutina o dalla miriade di cose che si fanno controvoglia già dall'inizio della giornata, che di solito parte male col trillo di una sveglia. E se accade, come alla ragazza del racconto, che la sveglia non suona,  e lei si veste di corsa, probabilmente imprecando a mente, visto che nel testo non compaiono espressioni colorite e riferimenti a Santi o parenti, è bene ricordare che si può essere in ritardo e incavolati neri o si può semplicemente avvertire di essere in ritardo e rilassarsi. E soprattutto evitare di prendersela con quel povero uomo in pigiama e spettinato, che ha cercato di prepararvi il caffè per farvi risparmiare tempo. Sembra fantascienza, ma a leggere di queste situazioni che sono capitate a ciascuno di noi, ci si rende conto quanto, a volte, può essere ridicolo un comportamento o esagerata una reazione.

Leonardo strizza locchio a queste situazioni, provando a offrire al lettore una colazione alternativa. E che buongiorno sia per tutti!

giovedì 25 maggio 2017

IL CIBO OSPEDALIERO: KOZMIC BLUES

Capita di trascorrere qualche giorno in ospedale, cioè se non capita è meglio, ma se ti ci trovi e non sei proprio moribondo che ti nutrono a flebo certe osservazioni non puoi non farle. E quale può essere l’unica cosa da osservare in un reparto dove tutte le infermiere sono donne e non c’è uno straccio di dottore uomo manco a cercarlo col lumino che passa a visitarti?
Il cibo.
Il cibo resta l’unica cosa su cui posare l’attenzione, quella che mi fa passare 10 minuti concentrata su qualcosa, che non sia il colore della parete della stanza o le lancette del manometro dell’ossigeno, o peggio ancora le gocce della soluzione salina che gli propinano al mio dirimpettaio. A volte le conto, paio un ebete.
E mi sono resa conto di quanto gli orari in ospedale diventano importanti, di quanto cresce l’attesa di mezzogiorno o delle 6, quando mi portano il vassoio col mio pasto. Se le infermiere tardano un po per la qualunque ragione, inizio a innervosirmi, mi prende una sorta di ansia biologica da nutrimento. E’ il basic instinct, ma per mangiare, che ogni altro istinto si è bello che perso tra catarri, padelle e scorregge.

Nell'ordine: pollo e spinaci su scala di grigi;
 hamburger di tacchino e patate quasi lesse; scaloppina ai funghi e puré


Al quinto giorno di ricovero posso stilare le prime tre leggi della dietetica ospedaliera:
1. se ha un buon sapore non va bene. Perché tu ti sei ammalato e questo è male. Non hai messo la sciarpa vedi? Ti sta bene. Becco e mazziato, Già depressa per conto mio, dopo aver scoperchiato il piatto sono pronta a impiccarmi col cavo del campanello o col tubo dell’areosol.
2. se ha un bel colore non è adatto. Tutto deve intonarsi coi colori tenui e sfumati del reparto.  Ma pallido stinto non è un buon colore da ingoiare
3. se è masticabile è addirittura vietato. Questa legge risale a quando l’ospedale era un paese per vecchi rincoglioniti, e quelli dotati di protesi erano i più fortunati.
Per stimolare la masticazione in ospedale si può ricorrere alle macchinette, poste fuori della porta di ogni reparto. Per i degenti sono la luce, la chiamata che ti conduce nella notte buia verso il rumore di pacchetti di crackers che cadono da molle poste a 1 metro di altezza e si disintegrano, o di polveri sintetiche che scendono in un bicchiere di plastica e odorano di caffè o cioccolata. Stanotte a cadere dal nastro è stata una fiesta: ho scelto di investire il mio euro sulla cosa più tossica disponibile. Tanto non mi ha visto nessuno.
Ma cerchiamo di essere precisi. I pasti di questi giorni hanno visto sfilare pasta al pomodoro, puré, bietole saltate, piselli, polpette, maiale al forno, patate lesse, mela cotta; tra le cose più semplici da fare, al limite del banale, ma anche tra le più buone se vuoi che lo siano.(ecco perché ho evitato di menzionare il pollo e l’hamburger di tacchino, sempre presenti nella carta di un policlinico). Oppure possono essere la depressione caspica. Va da se, la seconda.
Puoi sbagliare una patata lessa? Può essere cattivo un puré? Dai anche quello in buste è goloso con un po’ di noce moscata e parmigiano. Per farlo così brutto bisogna impegnarsi.
E vogliamo parlare dei piselli? Siamo tutti cresciuti coi pisellini fini findus, cotti con l’acqua e l’olio e uno spicchio di aglio e ci piacevano eccome. Si possono sbagliare i piselli fino a farli grigi?
Capisco che in ospedale non stai al ristorante, il cibo deve essere leggero, poco salato e privo di grassi, ma non può essere la morte di ogni sapore, di ogni colore umanamente deglutibile, di ogni consistenza affrontabile per il palato.
Non può e non deve essere così.
Che al pensiero le fette biscottate col te della mattina hanno il sapore di un jive dopo che per ore nessuno ti ha chiesto di ballare.
Oggi per pranzo, nemmeno mi avessero sentito, mi hanno portato polenta pasticciata col sugo e scaloppina di maiale ai funghi. Magari sarò costretta a ritrattare quanto detto o magari se nell’ora del passo non mi trovate cercatemi alle macchinette.




lunedì 20 marzo 2017

ESSENZIALE A FIRENZE

Essenziale da vocabolario Treccani: quella cosa di cui non si può fare a meno.
Essenziale da dizionario Garzanti: ciò che costituisce l’essenza di una cosa, la sostanza.
Essenziale secondo me: se ci vai a cena o per il brunch della domenica accertati che ci sia Simone Cipriani.
Perché essenzialmente si possono fare due scelte: rifarsi solo la bocca con la ribollita a gnudo, oppure rifarsi la bocca e anche gli occhi se è lo chef che te la serve da dietro il bancone. E io vi consiglio caldamente la seconda, tanto costa uguale. 

ribollita a gnudo con mano di chef

E siccome è anche molto essenziale prenotare con buon anticipo, quando chiamate non dimenticate mai la seguente domanda: “lo chef c’è?” Cui seguirà: “bene mi riservi i posti al bancone”. Perché sedere al bancone è il modo migliore per conoscersi: il menù di 3 portate a 35€. C’è più gusto a assaporarlo a pochi metri dal Cipriani.
Appollaiata sullo sgabello vista chef mi gusto la carabaccia che giace sotto un giardino di cavolo nero, chips di topinambour e foglie di cavolo rosso crude. E faccio le mie millemila foto allo chef che lavora. E penso che deve essere una bella seccatura essere lo chef più figo di Firenze e provincia, una vera rogna, mentre tutti ti cercano difetti e fotografano più te che i tuoi piatti.

Simone Cipriani a distanze diverse :-D

Se oltre che bello lo chef in questione ha pure la sfiga di essere bravo potrebbe risultare un tantino antipatico ai più. Anzi è roba da rimanere sulle palle anche al padre eterno. E invece viene fuori che lo chef è pure spiritoso e divertente e a quel punto dico vabbé la natura è ingiusta, non mi resta che  abbracciare il pinguino Gianni, mascotte del ristorante e chiedere un topinambur tiramisù doppio.
A questo punto potrebbe essere essenziale che chef Cipriani se la rida di gusto a leggere queste mie considerazioni “di pancia”, altrimenti  potrebbe essere vitale per me non incontrarlo in giro per un po’!!

E mentre aspetto il mio piccione alla brace mi apparecchio, prendendo le posate dal cassetto sotto il tavolo, perché all’Essenziale è fondamentale stare al gioco: compresi i giochi di parole.
Pappioca per esempio, è una sorta di pappa al pomodoro con tapioca e wasabi. Che dire, la leggi in carta e vuoi non ordinarla con un nome così? E visto che siamo a giocare con le parole mi scappa anche una Battuta,  tartare di manzo marinata nel lampone, servita con cavolo rosso; dentro c’è, ma non si vede, un  tuorlo d’uovo marinato a bassa temperatura: l’essenziale è invisibile agli occhi.

Carabaccia, Battuta, Pappioca

Tutto il resto invece si vede bene e non si fatica a trovare il cibo nel piatto. La cucina essenziale non è affatto stitica, al contrario è generosa nei sapori e nelle quantità, per cui se avete prenotato per cena, non dico che sia essenziale saltare il pranzo, ma è fortemente raccomandato.




sabato 19 novembre 2016

A PONTASSIEVE SI MANGIA DA DIECI!


“Come un tu’ conosci i’ Tilli? Un tu sei mai stata a mangiare tutte quelle robine che fa Edoardo?” Mi guarda sorpreso
“No mannaggia!” –questa sono io, l’altro è Stefano Frassineti,  l’oste culto di Pontassieve e dintorni
“Allora bisogna andacci..”
Detto fatto. Via verso Podere Belvedere.
Il posto è molto bello, la casa rosa tra gli olivi che si affaccia sulla valle della Rufina, l’aia in pietra; niente piscine blu oltremare, né percorsi spa e altri inutilismi del genere in mezzo alla campagna bella. Vuoi una settimana detox, in pax, sanax, in relax? Non chiedere bagni di fieno greco dorico, falciato direttamente da Fidia o massaggi all’olio essenziale di resina grezza mummificata di Cajeput, ma fatti una passeggiata sul sentiero delle burraie, sali fino al Monte Giovi e riscendi per la valle dell’Inferno. Respira, cammina, osserva il bosco, il prato, la pietra paesina.
Poi siediti sulla sedia impagliata della cucina di Edoardo e sparati un panino al lampredotto e aria di prezzemolo e aglio, a seguire un altro con bardiccio, miele millefiori e cipolla e se vuoi concludi con un sandwich al prosciutto d’anatra e maionese di aglio nero. Total fit and rehab.

Podere Belvedere è un agriturismo con tutti i gli animali del caso, solo che non sono gli animali quelli normali in un’aia. Ci sono due gatti, ma sono senza pelo, gatti nudi che dormono sul radiatore,  perché giustamente d’inverno sulle colline della Rufina gli fa freddo. C’è anche il cane. No, ma quale cane da guardia, pastore tedesco o maremmano che sia. È una bassottina con la pancetta figlia di una dieta toscana di sostanza, che fa compagnia agli ospiti della sala. Silenziosa, nemmeno la senti, si piazza sotto il tavolo, buona, fa finta di non interessarsi alla conversazione, ma come sente la forchetta che batte sul piatto drizza l’orecchio, fosse mai che cadesse un raviolo con ripieno liquido al tartufo.
Poi ovviamente ci sono le galline, sennò che agriturismo sarebbe? Ma non bisogna cercare il classico pollo livornese, dal Tilli ci sono le galline moroseta con la pelle e le ossa nere, cinque dita invece di quattro e pettinate come punkabbestia.
Dice Edoardo che c'è anche il maiale, io però quello l ho visto solo in tavola, una sorta di maiale in porchetta, cotto a bassa temperatura, ma che tanto mi ha ricordato l'arista di una volta, saporita e potente di aglio e rosmarino, quella che almeno tre fette poi se ne ragiona.

Podere Belvedere

In questa stranalandia agricola pensi forse di trovare la ribollita e la casalinghitudine dei piatti di un agriturismo?
Ahahah! Ciao carciofi fritti, avanti crocchetta di fegato d’oca, riesling e sherry. Crostino toscano? Aspetta assaggia questa polenta al mandarino con cuore di vin santo e una colata di sugo di fegatini e fiorellini di lillà.
E pasteggi con vino francese se vuoi, tanti buoni champagne sconosciuti, che mi valgono la domanda: “chi li distribuisce?” Dal distributore, almeno qui da noi, ci si fa benzina, mentre per lo champagne abbiamo un dispaccio-spacciatore: Emanuele Nenci, il trippaio delle Sieci, altra istituzione del comune di Pontassieve denominata A Pancia Piena.
Insomma sono qui col Frassineti, l’oste-storia di Pontassieve, alla tavola del giovane Edoardo, chef rivelazione di Pontassieve (potevo anche dire astro nascente, brillante talento, nuova stella nel panorama gastronomico e altre originalità del caso) e bevo gli champagne del trippaio delle Sieci. Questo si che è fare squadra, anzi fare quadra attorno a un tavolo di legno massello di castagno.
Oggi a pranzo la Val di Sieve mi è sembrata un luogo meno sfigato. Ci puoi trovare il cibo della sostanza, quello dell'estro e il cibo del lavoro, quello in piedi da strada. Vini buoni locali e pure l'acqua di Reims. O cosa volere di più?
la fine dei lavori sull'Aretina e due treni puntuali

Podere Belvedere
via San Piero a Strada 23, Pontassive
333 179 2224
https://www.facebook.com/poderebelvedere/

venerdì 7 ottobre 2016

TOP...SECRET BAR

Siamo qui somewhere in Santo Spirito a cercare il secret bar. E per essere tale lo si deve trovare con difficoltà.
Infatti.
Ma le ormai golden girls coi trampoli ai piedi non si danno per vinte.
“Ehi ragazze direi che l’abbiamo trovato!” urla l’Aurora, facendo l’eco nel vicolo stretto
“Sshhhh!! Speakeasy!!” le intimo di abbassare la voce, che ha già svegliato mezzo quartiere
“Il proibizionismo è finito, non mi rompere”
“Si ma i residenti si incazzano lo stesso se fai quegli schiamazzi a mezzanotte. Suona vai!”
Abbiamo  un attimo di esitazione
Ma siamo sicure? E se suoniamo a una casa?
In effetti non c’è insegna, né alcun altro segno che possa far pensare che lì c’è un bar o simili. E non ci sono neppure persone in strada. Però, come dire, l’occhio attento del cercatore assetato capisce che quello non è un ingresso normale, o la porta di uno dei tanti palazzi del vicolo. Potrebbe essere la luce diversa che illumina quella porta a condurti nel posto giusto, ma non ne sono sicura. Sappiamo solo che quando ci siamo passate davanti per la seconda volta, ci siamo fermate tutte e tre. Alla seconda però. Figo parecchio.
Suoniamo. Lo spioncino rettangolare si apre: “si ?”
Ci guardiamo interdette. “Dolcetto o scherzetto” grida l’Aurora.
Lo spioncino si richiude.
“Dai ma ti sembra il caso di sfottere? Qui non ci fanno entrare neanche se dici che sei la nipote di Lucky Luciano”.
Risuoniamo. Stavolta niente. Nessuno ci apre. Accanto alla porta principale ce n’è un’altra. Pare una porta secondaria. La Marta la apre, con l’aria soddisfatta di chi ti ha risolto la serata. Peccato che sia lo sportello dei contatori della luce. Fulminate si, ma non con gli ampère
“Magari suono di nuovo è, che dite?”
Scampanellata potente.
La porta si apre, vai ci siamo, e invece no. Esce un tipo dall’aria finta casual che si atteggia a figo spaziale, cosa per altro priva di alcuna attinenza con la realtà. C’ha la camicia a righe, ok carina, volutamente mezza fuori e mezza dentro, il capello un po’ spettinato, la scarpa..insomma roba vista e rivista per cui vola basso. Ci dice passandosi una mano tra i capelli: “ce l’avete la parola d’ordine?” quasi a sfotterci..
Risponde l’Aurora: “certo che ce l’abbiamo”.
Ovviamente no.
Ma lei incalza: “di password se n’ha quante tu vuoi, te ne serve qualcuna?”
“No grazie, ora vi faranno entrare, non temete” e accenna un mezzo sorriso. La classica espressione di chi ci sta prendendo per il culo. E se ne va passandosi di nuovo la mano tra i capelli, nemmeno fosse Sgarbi.
La Marta coraggiosa ribussa. Lo spioncino si riapre e la solita domanda: “si?”
“S I”
 Risponde la Marta scandendo le parole
“S I, vogliamo entrare”
“Siiii” annuiamo noi in coro con la testa
“Avete una prenotazione, un tavolo riservato, un invito?”
“No però abbiamo tanta sete e abbiamo fatto tanta strada per arrivare fino a qui, con queste”. E indica orgogliosa le sue scarpe con zeppe zebrate.
La porta si apre “prego” e ci indica una scala. “scendete pure”
In effetti era un bel po’ che non provavo questa eccitazione ad entrare in un bar.
Top il bar, top secret il resto.

Non lo posso raccontare. Neanche se io speak easy, sottovoce.