giovedì 31 marzo 2016

LA COMPAGNIA DEI VINATTIERI. e altre compagnie








Per mangiare alla Compagnia dei Vinattieri  ho sudato le sette camicie. Per ben tre volte ho tentato invano di prenotare: era sempre pieno. Lì per lì ho pensato: wow che fico deve essere questo posto, seguito a ruota da “uffa che palle, io avevo fatto la bocca ad andare  lì”. E non c’è cosa peggiore per me, che immaginarmi una cena in tal posto e poi ripiegare su un altro. Mi metterei a fare le bizze come i bambini, sdraiata in terra a battere i piedi e strillare “noooo e io lì non ci vengo, brutto, cacca, bua”
Stasera ce l’abbiamo fatta, prenotando con largo anticipo e raccomandandosi ai santi protettori di Siena, che pare siano addirittura 4. Si perché se vuoi ottenere qualcosa devi rivolgerti a chi conta, non solo in Terra.
Scelgo il tavolo più centrale che c’è, cogliendo di sorpresa la Stef che forse gradiva una situazione più defilata, perché già sa come andrà a finire.
Siamo io e lei, la mia amica del librino rosso e questa è una di quelle sere da confessioni e buon vino. So che tutto quello che dirò lei se lo ricorderà e mi chiedo se questo sia un bene per me o una tremenda sfiga. Chissà se si ricorda delle mie cose perché mi ha nel cuore o perché me lo vuole trafiggere a cadenza regolare, con le parole: “Sabri ti ricordo che quella sera hai detto che ..”
Cosa? Quale sera? Io non mi ricordo neanche la mia data di nascita a volte e lei si ricorda la frase detta nel tal posto alla tal ora, quante volte sono andata al bagno e si mi ero fatta i baffetti oppure o no. Ma in fondo io ho bisogno di una persona così nel mio disordine smemorato, che a tratti è amnesia globale permanente. Ma in questi di solito casi è colpa del vino, non mia.
Il titolare di questo luogo fico, che, col dovuto rispetto, è fico a sua volta, ci viene incontro per salutare Stefania e io mi prodigo in una calorosa stretta di mano e mi presento: “piacere sono..”
“guarda Sabri che vi siete già conosciuti, a Castellina ti ricordi..?”, sottolinea puntuale e precisa la Stef. A conferma di quanto ho appena detto.
“Ma dai accomodatevi!” e ci sorride così per sdrammatizzare l’imbarazzo; già dopo il primo bicchiere in compagnia di Pojer e Sandri e il loro pinot nero il dramma si tramuta in commedia con la perdita di ogni tipo di imbarazzo.  E c’è ancora chi sostiene che bere faccia male.
Quando apro il menu di un ristorante posso avere due reazioni:
a. non so che scegliere perché non trovo niente che mi convince
b. non so che scegliere perché vorrei ordinare tutto
Ai Vinattieri è il secondo caso.
“Senti io vorrei ordinare la quaglia col ciaccino e la riduzione di vino rosso, le polpette di fagiano con pecorino e salsa di nocciole e poi il carré di agnello con arancia e caffè. Si mi pare bene così”.
“azz..tutta verdura eh?” commenta lei
“siamo stati cacciati dal paradiso per aver mangiato la frutta mica l’arista al forno. Io ho deciso di non rischiare più inutilmente”
Ci abbiamo aggiunto anche un primo piatto, ripieno naturalmente, e poi ci siamo divise il tutto, a volte litigandocelo.
Marco da buon titolare accorto e navigato, comprende lo spessore delle due bocche sedute a centro sala e le allieta con piccole sorprese come l’aringa affumicata con cialda di patate e cipolla marinata. Scommetti che questa volta non me lo scordo?
Poi però il coraggio di scegliere per dolce la crema alla banana e caramello salato ce l’ha avuta lei..no così tanto per dire.

Ammetto che è stata un’ottima idea.

Compagnia dei Vinattieri, via delle Terme 79, Siena

domenica 27 marzo 2016

LA PASQUA A CASA. Cronaca della prima

Data astrale 27 marzo 2016 si celebra la prima Pasqua in casa Somigli.
La prima della mia vita fuori dal ristorante. Perché quando sono nata i miei genitori erano già ristoratori. E il giorno di Pasqua si è sempre lavorato.
E oggi a quarant’anni mi ritrovo d’un tratto a far parte di una famiglia normale; normalità intesa come orari e tradizioni del dì di festa. 
In effetti è normalità soltanto apparente. Per comprare una quantità di agnello appropriata, i miei genitori mi hanno chiesto la partita iva, poichè tali quantità sono acquistabili solo all’ingrosso.
Solo che a pranzo siamo in 8, non più in 80 come al ristorante.
A giudicare dalla quantità di roba che hanno preparato forse ho sbagliato a contare.
“Mamma abbiamo altri ospiti oltre alla zia?”, chissà magari hanno invitato degli amici a mia insaputa, cosa che spiegherebbe il perché di tutti questi vassoi pieni di cibo che intasano la cucina.  Ve ne sono sul tavolo, sopra il frigo e perfino sulle sedie e sulla cassa dell’acqua, a portata di cane. Fai tanto che la bestiaccia entri in cucina e vedi te come si gode la Pasqua. Del resto è la prima volta anche per lui questa festa col grand jury riunito, anche se a dirla tutta mi pare più scoglionato che felice, con tutto questo trambusto in casa da stamani all’alba.  
Il babbo ha acceso il fuoco, ma non per creare atmosfera, bensì per produrre brace: “se dopo s’ha ancora fame si mette una bistecchina sul fuoco”
“si certo babbo, vai vai metti ancora legna, ci si fa anche le patate sotto la cenere; quelle però per stasera, sennò icché si mangia a cena..”
Mia mamma ha tirato in ballo tutte le usanze del giorno della festa: non se ne è persa neanche una, a partire dalla tovaglia ricamata, il centro tavola con i pulcini, il menu da banchetto dell’imperatore e perfino l’uovo di pasqua con sorpresa per me e il mio fratello, anche lui abbondantemente over 30s. Deve recuperare 40 anni di riti mancati, come darle torto.
 “Mamma vuoi una mano a preparare le uova?”
“no no  tanto ora arriva la zia, mi aiuta lei”
Andiamo bene se s’aspetta la zia.. a mezzogiorno avrà ancora da farsi la doccia, scegliere la collana più vistosa che possiede e trovare le chiavi della macchina. Poi arriverà a comodo imprecando contro il traffico della via Aretina che le ha fatto fare tardi, proprio oggi che si era alzata presto per venire ad aiutarci. Ma guarda la sfiga!
“Mamma sei sicura?”
“si si te vai giù a prendere il vino”
Se la Lisetta non mi vuole tra i piedi in cucina, ha qualcosa da nascondere. Tradotto: sta per fare qualcosa che se vedo mi farà incazzare..
Questa cosa si chiama maionese in tubetto per guarnire le uova sode. Quarantanni di ristorazione polverizzati per via di un tubo da 150 ml col tappo giallo.
“Oh mamma o che figura si fa a invitare i parenti e dargli la maionese sintetica?”
“O venvìa, la zia un se ne accorge nemmeno!”
Se scopro che ha messo le sottilette nelle lasagne agli asparagi m’ammazzo.


domenica 20 marzo 2016

BRUNNENHOF MAZZON. e altre personali considerazioni




Mi è seduto accanto. E’ stato un caso e devo ringraziare il mio arrivo in ritardo; tutti i posti erano già stati presi, e restava proprio quello lì, a fianco dell’ospite della serata, Kurt Rottensteiner, per tutti Brunnenhof a Mazzon. Volto timido, quasi imbarazzato nel descrivere alla tavolata i suoi vini. Non so se sia un pudore tutto atesino o semplicemente un tratto distintivo delle genti di montagna quell’essere schivi e poco loquaci. Veste una giacca in loden grigio, il classico taglio tirolese, con collo rigido e basso e rifiniture verde bottiglia. Da appassionata di escursionismo dolomitico, mi vengono in mente le domande più astruse e meno vinose che si possa immaginare, ma pare la formula vincente;  così una chiacchiera tira l’altra, Herr Rottensteiner si rivela più loquace di quanto ipotizzato e la conversazione scorre piacevole. Parte dal casello di Egna-Ora, la porta sul paradiso: quando vedo quel cartello verde sulla A22, comincio già a sentirmi meglio, sia che ci esca in  direzione della Val di Fiemme o della Val di Fassa, sia che lo superi diretta verso il Brennero.
“ti sei mai fermata a Mazzon?”
Mazzon è una spina nel fianco per me: sta lì ripido sopra il casello, al sesto tornante della statale a destra. Una posizione strategica, ma anche una fregatura. La voglia di posare lo scarpone sulle alte vie delle dolomiti è sempre troppo forte per una sosta a Mazzon all’andata. Al ritorno, al contrario, è sempre troppo tardi. Insomma finisce che non mi ci fermo mai nonostante tutti i buoni propositi al gusto di pinot nero. Sento che quest’anno potrebbe essere la volta buona.
In degustazione ci sono i 4 vini di Brunnenhof: L’incrocio manzoni “Eva” 2013, il gewurztraminer 2013, il lagrein 2013, il pinot nero riserva 2012. Più due sorprese di cui ci ha omaggiato: un gewurztraminer 2010 e un pinot riserva 2007, nonché un apprezzatissimo speck affettato al momento.
E il GW 2010 è davvero una gran bella sorpresa, che risponde parzialmente alla domanda che mi affliggeva dall’inizio della serata: “perché se fai 4 soli vini, uno di questi è GW?”
Non ce la faccio, la domanda mi scappa di bocca lieve e spudorata, senza che nemmeno me ne accorga. Ora chiama la sicurezza e mi fa sbattere fuori, penso. E invece ride, ipotesi che non avevo contemplato. Mi spiega che i vigneti a GW di maso Brunnenhof andranno a sparire, e saranno sostituiti da pinot nero. Perché in cantina neanche lo vogliono assaggiare dice ridendo: “GW per carità no!”. Rido anche io. Eppure quando mi iscrissi al corso per sommelier questo vino era il mio preferito, andava così di moda, se facevi l’aperitivo eri fico solo a ordinare il traminer aromatico. Guarda come cambiano le cose.. Mi sono andata a leggere un po’ di notizie al riguardo, e mi sono imbattuta in statistiche IRI aggiornate al 2014 che facevano registrare notevoli incrementi delle vendite di questo vino in Italia. Insomma se ne vende di più, ma se chiedi agli amici o conoscenti, nessuno lo beve, i più lo rifuggono. Pare la storia di Berlusconi, che è stato premier per vent’anni senza che nessuno lo avesse votato.
Ma leggendo sono venute fuori altre cose interessanti: si dice che il GW è un vino femminile. E ti pareva, quando c’è di mezzo roba rotonda e eccessivamente improfumata di rosa c’è dietro una donna. Oppure che in molte versioni risulta essere troppo faticoso da bere, difficile da abbinare a tavola, il vino che non si presta al bis di un bicchiere. Tra le soluzioni meno scientifiche ipotizzate per renderlo più appetitoso:  migliorarne l’appetibilità a partire dal nome e non uno scioglilingua dalla riuscita improbabile. E così sia al più presto.

Il GW del 2010 abbinato a degli gnocchi alla parigina con salsa di pecorino e julienne di mela verde mi è parso assai gradevole e per niente faticoso. Dimostra ancora che il GW ne guadagna se ha qualche anno sulle spalle e digerisce i 15 gradi dichiarati. Non posso non pensare che i GW di Brunnenhof potrebbero diventare una rarità, se decide per l’espianto; dice infatti col sorriso, ma anche con un po’ di rammarico, di non aver conservato uno storico delle sue annate..”io il vino l’ho venduto sempre tutto..”.  Peccato però, perché a me è parso un gran bel bere.



Credits foto:FISAR Firenze

mercoledì 16 marzo 2016

WALTER MASSA SHOW



“..perché un enologo se non è anche filosofo è meglio che faccia un altro lavoro”. E con quegli occhiali da intellettuale e quelle rughette sexy sulla fronte come fai e non dargli ragione? Gliela dai a priori. La ragione. Che poi la sua storia dimostra che ragione ne aveva da vendere..
Non parlerò di quanto sono buoni i vini di Walter Massa, perché è cosa nota. Parlano da soli, non hanno bisogno che sia io a dare fiato alle trombe e celebrarli. 
Quello che invece vorrei, è poter descrivere il racconto di Massa, sferzante e diretto, che non lesina frecciate a nessuno, consorzi di tutela, associazioni di categoria e loschi personaggi politici, che hanno contribuito a “costruire il nulla, o al limite qualche fascicolo presso diversi tribunali della repubblica”.
Una storia che parte dal Timorosso per arrivare al Timorasso, un po’ come la storia dell’Italia dei grandi rossi che scopre negli anni che bere vino bianco è altrettanto piacevole. Superata l’ansia da Timorosso, via le vigne a barbera. Poi via anche il cortese che a Monleale con Massa non ci voleva stare e a dispetto  s’era impuntato a non sviluppare i suoi aromi. 
“timorasso? Ma va là, lascia fare!” gli dicevano i contadini dei colli tortonesi a metà degli anni Ottanta”
Ma lui, l’enologo a tratti filosofo, e per certi versi matto scatenato, va in fissa col Timorasso, un’ uva pressoché scomparsa e ne fa un vino come piace a lui, “perché un vino mica deve piacere a tutti”. E lo fa con la sua ricetta di 4 ingredienti:
solo uva
sole
buon senso
tempo
 “perché senza il tempo non vai da nessuna parte, neanche se hai fatto la scuola enologica di Bordeaux, figuriamoci  quella sfigata di Alba". Che poi parliamoci chiaro, quando un vignaiolo fa il vino vede subito la bottiglia da vendere, si perché un vino dopo 10-12 anni in cantina “più che sui lieviti sta sulle scatole”.  Ma è un gioco il suo, a prendersi in giro. "il 1995  è stata l'annata più acida della storia e il mio timorasso faceva schifo": il coraggio di tenere ferme 6000 bottiglie per qualche anno, per regalare poi a qualcuno qualche emozione.
 “A chi mi chiede perché faccio 4 vini tutti uguali, rispondo - Chiamiamole le enoconvergenze parallele di Walter Massa-“ . Ma la verità è che Derthona, Costa del vento, Sterpi e Montecitorio, non sono solo dei timorasso,  sono 4 vini diversi. Sono l’identità enologica, tanto agognata da Massa, che ha deciso di chiamare i suoi vini con il nome delle colline sui quali sono prodotti. Perché ci dobbiamo difendere col territorio, è questa la nostra vera arma difensiva. “Facciamo un esempio: se domani Belen Rodriguez decide di fare timorasso nella Costa Berica, ci sarà di sicuro un esercito di tonti che lo vogliono. Bene difendiamoci col territorio: io vendo Derthona, il timorasso lo lascio vendere agli altri”.

In degustazione le 6 magnum:
Derthona  2012
Montecitorio 2010
Sterpi 2009
Sterpi 2007
Costa del Vento 2003
Costa del vento 2002


sabato 12 marzo 2016

ROMANZO BREVE DI UN SOMMELIER

“Prima che il gallo nero canti 3 volte tu mi tradirai”, questo le disse il sommelier sospettoso, facendola sentire più piccola di un verme, quasi un vermentino.
Lei tentò di difendersi: “ma che carso dici?”
“Bugiarda!” lui non aveva ancora digerito quella panzana in chianti dell’uscita con l’amica. Da quella sera lui viveva nel timorasso che lei lo tradisse
Sentiva di avere in testa il peso di una intera Val di Cornia in lungo e in largo, ma non era nato a Suvereto. Decise di farsi un goccetto di muller turbau che lo rese ancora più ansioso.
Allora cercò sollievo con un infuso calmante di Friuli-Latisana, bevibile solo dopo l’ebollizione, con aggiunta di miele e un cucchiaio di grappa.
“Eh smettila di bere quei troiai, ho io La Cura per te”, le disse lei con voce dolce. Ma lui odiava il merlot e questo non fece che peggiorare la situazione
Ma non volarono botte né botti, neanche barriques, giusto un paio di meritati pugnitelli a indicazione geografica protetta. Perché l’amore non è bello se non è un po’ vigorello, e pace fu.
Con sigaretta a seguire.

E mentre tentava di liberare le vie aeree infilandosi una falanghina nel naso, osservava lei con occhi innamorati. No, lei non era quel terratico di babbiona con l’unghia aranciata. Lei ai suoi occhi era la più bonarda, perché era fresca e vivace, talvolta frizzante, in una parola amabile.

martedì 1 marzo 2016

CALABRIFORNICATION


Mi ha accarezzato i capelli e il mio cuore ha martellato così forte che ho pensato: se mi bacia muoio. (Benni, Margherita Dolcevita)


E’ cotta a puntino. Ha gli occhi a triglia e il cervello resettato.
Colpa di un uomo tutto d’un pezzo, da Roccella Jonica con ardore, risalì la penisola per studiare economia a Firenze. Attualmente responsabile per l’estero di una nota ditta di saponi.
“ragazze voi non potete capire..”. Auguro l’estinzione rapida a tutti coloro che esordiscono con questa frase, eccetto l’Aurora, perché senza di lei non sarebbe lo stesso, la telefonata, il pianto, le risa, la testa sulla spalla, l’abbraccio della mia amica.
“ragazze lui è un uomo solido, proprio quello di cui avevo bisogno in questo momento”.
guardo la Marta in cerca di comprensione, non avevo mai visto l’Aurora ridotta così.
“Sabri che ti devo dire: ogni momento è quello giusto se l’appoggio è robusto” commenta la Marta seriamente, con profonda convinzione. E’ incredibile come la birra la renda lucida e capace di tali verità. Credo che ne ordinerò una anche io. Ma stiamo aspettando la bistecca..
E tutte stiamo anche aspettando trepidanti che Giorgio arrivi. Viene a prendere l’Aurora dopo cena.
Nel frattempo ci servono una bistecca mozzafiato, di quelle che solo l’odore ti toglie il fiato. Succosa  e tiepida, tenera come il burro. Nessun litigio per il filetto, abbiamo imparato qualcosa dai dai, ma c’è lotta per l’osso e per la punta piena di grasso saporito. Una macinata di sale e niente più. Non ha bisogno di altro questa ciccia buona, se non di svariate fette di pane per ramazzare il sughetto buono sul piatto.
La gola salverà il mondo e lo renderà un posto migliore, di certo più gustoso. Potrei raccontare mille cose di me o su di noi 3 amiche insieme, ma oltre la metà di queste si sono svolte intorno a un tavolo. Apparecchiato.
Ecco Giorgio.
 In effetti me l’ero immaginato un po’ diverso, più simile a Martufello. Invece è parecchio meglio. Giuro. Hai visto l’Aurora.. L'uomo d'onore porta con se una scia di profumo che ricorda quello del bagnoschiuma pino silvestre. All’Aurora gli piace il balsamico non c’è che dire. Mi astengo da qualunque commento, visto che non rimorchio neanche quelli che il dopobarba è aqua velva. E prima era Azzarò.

L’Aurora sprizza gioiatauro da tutti i pori, lui la guarda, le rimette la ciocca dei capelli dietro l’orecchio e le chiede come è andata la cena. L’accento tradisce le sue origini di lagane e ciceri e cipolla di Tropea, ma non guasta.  Aggiungi ‘nduja e peperoncino e dream a calabrifornication.